E’ un periodo particolarmente fortunato per tutti gli appassionati di fotografia con la “F” maiuscola in quanto è possibile visitare diverse mostre di grandi fotografi contemporanei.
Siamo andati a vederle per voi per darvene un breve catalogo ragionato.
Ancora pochissimi giorni per la prima in elenco. Fino al 10 di gennaio è possibili visitare Daido Moriyama a colori, una raccolta di 130 immagini inedite realizzate dal maestro tra la fine degli anni sessanta e i primi anni ottanta. Universalmente conosciuto per i suoi scatti dal bianco e nero contrastato e granuloso, quasi materico, l’artista giapponese racconta il suo meno conosciuto lavoro a colori.
La mostra è molto intensa, anche se di non facile lettura: non bisogna accedervi con preconcetti o con l’idea di trovare delle immagini “canonicamente belle”: il punto di vista di Moriyama è quella del cane randagio che vaga per i sobborghi rovistando alla costante ricerca di un cibo necessario per la sopravvivenza, un cibo spesso sordido, sporco, maleodorante ma non per questo meno portatore di vita. Così nei suoi scatti non c’è logica o pensiero o ricerca estetica ma la costante necessità di esperienza che nutre l’animo. In questa ricerca di pancia, quasi animalesca l’immagine si sgrana e si sfoca, le inquadrature si tagliano e si stortano; l’artista rovista nella vita per trarne la propria.
“La città racchiude tutto: la commedia, la tragedia, l’elegia, l’erotismo. È lo scenario ideale, il luogo dove s’intrecciano i desideri delle persone. È rimasta e rimarrà sempre il mio elemento naturale. Con il passare degli anni cambiano le persone, gli abiti, gli scenari, ma è solo un’apparenza; la linfa che la anima è sempre la stessa. Questo è anche il motivo per cui la mia fotografia, in un certo senso, sembra sempre ripetersi. […] il mio animale preferito rimane il lupo, intimamente posso dire di sentirmi un lupo. Quando sono in mezzo alla gente agisco come un cacciatore, sono in continua ricerca e tensione.”
Questa esposizione si trova presso la Galleria Sozzani, a Milano a due passi dalla Stazione Garibaldi. E’ consigliata vivamente una visita all’annessa libreria in cui i palati più fini potranno sfogliare ed acquistare molti libri (anche alcune rare edizioni) per soddisfare le proprie esigenze
A pochi minuti a piedi incontriamo l’Unicredit Pavilion, lo splendido centro polifunzionale ideato da Michele de Lucchi, sede di “Gabriele Basilico – Ascolto il tuo cuore, città”, la prima grande mostra antologica su Gabriele Basilico nella città dove è nato, ha lavorato e vissuto fino al 2013, anno della sua prematura scomparsa.
In mostra circa 150 fotografie, molte delle quali in grande formato, videoproiezioni e una serie di filmati che permettono di seguire e comprendere il percorso del lavoro del maestro.
Il tema è quello costante della ricerca e dell’estetica di Basilico: la città, la sua natura e le sue modificazioni in rapporto con l’essere umano, che la plasma e ne viene plasmato a sua volta. Presenti in mostra anche gli scatti celeberrimi dalla serie “Milano. Ritratti di fabbriche”, uno dei cicli più celebri e influenti della fotografia italiana contemporanea.
Assolutamente imperdibile.
Ci spostiamo in zona Duomo dove non possiamo lasciarci sfuggire anche la piccola ed interessantissima mostra “Another Country” di Paolo Pellegrin alla Leica Gallerie.
Tra le mitiche macchine fotografiche dell’azienda di Wetzlar 30 scatti di uno tra i più apprezzati fotoreporter internazionali, membro dell’agenzia Magnum dal 2005.
Del progetto in mostra parte è dedicato al carcere di massima sicurezza di Guantanamo Bay parte è frutto del viaggio lungo il border messicano dove ogni giorno giungono centinaia di persone dal Sud per tentare di entrare in USA e cercare di vivere il loro sogno americano. Un reportage sulle contraddizioni della società americana in bilico tra apertura e chiusura, discriminazione razziale, autoritarismo e perdita di libertà individuali. Guardando queste immagini è possibile anche fare un parallelo con l’attuale situazione di un Europa meta ambita di migliaia di profughi provenienti dal sud del mondo, con le immagini che ogni giorno ci vengono proposte dai mass media.
La quarta ed ultima tappa dell’intenso pomeriggio cultural-fotografico si trova a poche centinaia di metri: Vivian Maier presso la Fondazione Forma per la fotografia.
Torniamo a rivedere questa esposizione dopo averla già visitata l’estate scorsa al MAN l’ottimo Museo d’arte della provincia di Nuoro in Sardegna. Quello della fotografa Vivian Maier è un caso mondiale: la scoperta di un enorme archivio fotografico totalmente sconosciuto al mondo fino al 2007 quando John Maloof, all’epoca agente immobiliare, acquista ad un’asta giudiziaria parte dell’archivio della Maier. Da qui parte una ricerca degna di un vero detective che lo porterà a recuperare 150.000 negativi e 3.000 stampe ed a ricostruire, almeno in parte, la vita modesta ed appartata dell’autrice di questa immensa opera, ufficialmente bambinaia per famiglie benestanti di NY e Chicago, che ha incessantemente battuto le strade delle due metropoli immortalando per oltre un cinquantennio la vita e gli avvenimenti quotidiani.
Come scrive Marvin Heifermann nell’introduzione al catalogo, “Seppur scattate decenni or sono, le fotografie di Vivian Maier hanno molto da dire sul nostro presente. E in maniera profonda e inaspettata […] Maier si dedicò alla fotografia anima e corpo, la praticò con disciplina e usò questo linguaggio per dare struttura e senso alla propria vita conservando però gelosamente le immagini che realizzava senza parlarne, condividerle o utilizzarle per comunicare con il prossimo. Proprio come Maier, noi oggi non stiamo semplicemente esplorando il nostro rapporto col produrre immagini ma, attraverso la fotografia, definiamo noi stessi”. Quello che colpisce maggiormente di questo personaggio – oltre allo sguardo indagatore, ironico, maniacale, attentissimo ai dettagli, alla vita in ogni suo aspetto, ai bambini, agli anziani e, non ultimo a se’ stessa come traspare dalle sue immagini – è proprio il fatto che sia sempre vissuta nascosta, riservata senza grandi contatti umani e senza esporre o pubblicare le sue fotografie mentre lei era in vita. Addirittura la maggior parte dei suoi rullini non erano stati sviluppati! Un comportamento sicuramente “esotico” in una società dell’apparire come la nostra dove non esisti se non appari.
La mostra è composta da “solo” 120 immagini scattate tra i primi anni cinquanta e la fine dei sessanta, dieci filmati in super 8 e una serie inedita di provini a contatto
Consiglio agli appassionati anche la visione del documentario Finding Vivian Maier (Alla ricerca di Vivian Maier in italiano) dove lo stesso Maloof racconta la storia della scoperta e della riscoperta di questa autrice grande e solitaria.
Dimenticavo. Non c’è solo Milano: se passate da Roma investite un mezzo pomeriggio per visitare “Storie sovietiche” (Fino al 13 febbraio 2016 alla Galleria del Cembalo) approfittando per passeggiare attraverso gli antichi saloni di Palazzo Borghese.
In esposizione tre mostre di tre artisti che hanno raccontato, in periodi diversi, la storia dell’Unione Sovietica.
La pittrice ucraina Rozalija Rabinovič, originalissima interprete della propaganda sovietica degli anni ’30, è in mostra con “Stella Rossa. Rozalija Rabinovič e l’arte della propaganda” una selezione di una quarantina di disegni, realizzati dal 1930 al 1938 che parlano di miti, simboli e protagonisti dell’era staliniana.
Il fotografo russo Sergej Vasiljev premiato cinque volte al World Press Photo presenta “Nel chiuso dell’URSS.” un lavoro crudo e poetico in cui, come specificato nel sottotitolo della mostra l’autore “ha guardato dentro” una banja, la sauna russa, raccontando l’intimità gioiosa di un gruppo di donne, “dentro” una piscina, seguendo l’emozione di un parto in acqua e i volteggi leggeri di ragazze sirene e “dentro” un carcere, là dove i detenuti mostrano con orgoglio i corpi coperti da tatuaggi dalle simbologie che raccontano storie di vita, violenza e protesta.
Ultima ma non ultima la fotografa russa Danila Tkachenko classe ’89 che ha viaggiato per l’ex URSS alla ricerca di luoghi e oggetti oggi abbandonati ma un tempo simboli dell’utopia della grandezza della potenza sovietica.