Durante un concerto il musicista jazz suona senza soluzione di continuita su di un canovaccio trasformandolo di continuo, meshando ritmi, giri, sonorità, brani di musica immagazzinati con il tempo e l’esperienza, provenienti da generi e culture differenti. Tutto sembra improvvisato sul momento ma in realtà sono anni di prove, studi ed esperienza che vengono intessuti insieme al momento giusto, che convergono in pochi minuti di performance.
Più ricche sono l’esperienza e la cultura, soprattutto musicali, del jazzista più fluido, ricco, brillante sarà il concerto.
Così durante la preparazione dello scatto il fotografo, che lavora su un’idea predeterminata, richiama istintivamente la sua cultura ed esperienza visiva: le immagini viste e quelle scattate, i quadri, le architetture, i luoghi visitati, gli incontri fatti, la musica, i sapori, i colori, i contrasti vissuti. Tutto questo e molto altro converge in uno scatto di durata infinitesimale che condensa e reinterpreta una scena in un’immagine dalla costruzione apparentemente spontanea.
Improvvisazioni musicale, l’una, visiva, l’altra, guidate da conoscenze acquisite, esperienze vissute ed istinti.
Il fotografo improvvisa.
Altra cosa è che il “fotografo” si improvvisi.